Pompei
Sede dei celebri scavi archeologici dell'antica città romana.
Pompei durante le guerre sannitiche (le guerre sannitiche sono una serie di tre conflitti combattuti dalla giovane Repubblica romana contro la popolazione italica dei Sanniti e numerosi loro alleati tra la metà del IV e l'inizio del III secolo a. C). Fu ostile ai Romani. Una volta sconfitta, divenne alleata di Roma come socia dell'Urbe, conservando un'autonomia linguistica e istituzionale. È del IV secolo a.C. il primo regolare impianto urbanistico della città che, intorno al 300 a.C., fu munita di una nuova fortificazione in calcare del Sarno.
Durante la seconda guerra punica Pompei, ancora sotto il controllo di Nuceria Alfaterna, rimase fedele a Roma e poté così conservare una parziale indipendenza. Nel II secolo a.C. la coltivazione intensiva della terra e la conseguente massiccia esportazione di olio e vino portarono ricchezza e un alto tenore di vita.
Allo scoppio della guerra sociale Pompei fu ostile a Roma: nell'89 a.C. Silla, dopo aver fatto capitolare Stabia, partì alla volta di Pompei, che tentò una strenua difesa rinforzando le mura cittadine e avvalendosi dell'aiuto di un gruppo di celti capitanati da Lucio Cluenzio. Ogni tentativo di resistenza risultò vano e la città cadde ma, grazie all'appartenenza alla lega nucerina, ottenne la cittadinanza romana e fu inserita nella Gens Menenia.
Nell'80 a.C. entrò definitivamente nell'orbita di Roma e Silla vi trasferì un gruppo di veterani nella Colonia Venerea Pompeianorum Sillana. Tacito ricorda la rissa tra Nucerini e Pompeiani del 59 d.C. nell'Anfiteatro romano di Pompei, che spinse i consoli a proibire per dieci anni ogni forma di spettacolo gladiatorio.
Nel 79 d.C. Pompei fu interessata dall'eruzione del Vesuvio, che la seppellì sotto una coltre di materiali piroclastici di altezza variabile dai cinque ai sette metri, determinandone la fine. Al momento dell'eruzione molti edifici erano in fase di ricostruzione a causa del sisma del 62 d.C.
L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è il principale evento eruttivo del Vesuvio in epoca storica. L'eruzione, che ha profondamente modificato la morfologia del vulcano, ha provocato la distruzione delle città di Ercolano, Pompei, Stabia e Oplontis, le cui rovine, rimaste sepolte sotto strati di pomici, sono state riportate alla luce a partire dal XVIII secolo.
Quadriportico dei Teatri
Dietro la scena del Teatro Grande si sviluppa un grande quadriportico circondato da 74 colonne doriche in tufo grigio di Nocera con la funzione di foyer, area dove gli spettatori potevano sostare durante gli intervalli degli spettacoli teatrali. Dopo il terremoto del 62 d.C. l’edificio cambiò funzione e divenne una caserma per i gladiatori, portando ad una riorganizzazione di alcune parti dell’edificio. Le stanze più importanti erano quelle sul lato orientale mentre le stanze al piano superiore erano forse gli appartamenti dell’impresario dei gladiatori.
La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è attestata da una lettera di Plinio il Giovane. Nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto, si legge nonum kal septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.
Questa data era stata accettata come sicura fino agli anni 2010 ma alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordavano con una data estiva e hanno riaperto la discussione. Ad esempio, il ritrovamento di frutta secca carbonizzata, di bracieri, usati all'epoca per il riscaldamento, di mosto in fase di invecchiamento trovato ancora sigillato nei contenitori (dolia) e, soprattutto, di una moneta ritrovata sul sito archeologico che riferisce della quindicesima acclamazione di Tito a imperatore, avvenuta dopo l'8 settembre del 79, lasciano supporre che l'eruzione sia avvenuta in autunno, probabilmente il 24 ottobre di quell'anno, una domenica.
Intorno all'una del pomeriggio, con un boato terribile, il Vesuvio eruttò. Le sostanze eruttate per prime dal Vesuvio furono fondamentalmente pomici, quindi rocce vulcaniche originate da un magma pieno di gas e raffreddato. Mescolate alle pomici si trovano parti di rocce di altra natura che furono trasportate dal magma. La maggior parte dei cadaveri a Pompei sono rimasti intrappolati al di sopra delle pomici, avvolti nelle ceneri. I residui piroclastici della eruzione sono stati rintracciati in un'area ampia centinaia di chilometri quadrati. Secondo una stima di Plinio il Giovane, testimone del fenomeno, l'altezza della colonna eruttiva indicata secondo le moderne unità di misura può aver raggiunto i 33 chilometri. Pertanto la testimonianza più rilevante su ciò che accadde in quei giorni è data da Plinio il Giovane, che si trovava in quei giorni a Miseno con la sua famiglia. Trent'anni dopo descrisse l'evento all'amico Tacito.
Teatro Grande
Questo fu realizzato sfruttando il declivio naturale della collina per la costruzione della cavea. La gradinata era divisa da corridoi in tre zone a loro volte suddivise in cinque settori, e poggiava su un passaggio con volta a botte.
Fu costruito intorno alla metà del II secolo a.C. e profondamente restaurato secondo il gusto romano. Un’iscrizione, visibile all’ingresso del corridoio d’accesso est e che costituisce una delle pochissime attestazioni note con il riferimento dell’architectus, ricorda i lavori eseguiti in età augustea da Marcus Artorius Primus.
Tempio di Asclkepio o di Giove Meilichio
Il tempio, il più piccolo degli edifici di culto pompeiani, ha suscitato sin dalla sua scoperta un vivace dibattito sulla divinità che qui veniva venerata. Sulla base di un’iscrizione in lingua osca si ritenne che il tempio fosse dedicato a Giove Meilichio (dolce come il miele), una divinità legata all'oltretomba i cui luoghi di culto in genere sorgevano fuori dal centro urbano.
Più probabilmente il tempio era dedicato ad Asclepio, patrono della medicina, come suggerito dal rinvenimento di una statua in terracotta oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e di una cassetta medica. Al centro del cortile vi è l’altare in tufo; una ripida scalinata porta al tempio con quattro colonne sulla facciata e due ai lati, con capitelli corinzi decorati da una testa maschile barbata. Nella cella vi erano le basi delle statue di culto di Asclepio e Igea. Il tempio fu probabilmente eretto tra il III e il II sec. a.C.
Casa dei Cornelii
L’abitazione aperta su Via Stabiana presenta un impianto regolare: al centro dell’atrio è l’impluvio in marmo sul cui bordo era collocato un elegante tavolo a zampe feline, oggi visibile solo nei numerosi dipinti di fine ottocento quando la casa, dove era esibito il più completo arredo scultoreo allora noto (ora nei Granai del Foro) era tappa fissa di visita; nella parte posteriore resta il peristilio con colonne doriche.
Terme stabiane
Le Terme Stabiane sono bagni termali che prendono il nome dalla Via Stabiana che le corre accanto e vennero scoperte i primi dell'ottocento, e poi scavate tra il 1853 e il 1858. Nelle terme i romani non solo si prendevano bagni, ma si discuteva di politica, di processi, di battaglie, di donne, di gladiatori e di teatro, ma soprattutto era il salotto cittadino dove si commentavano i fatti del giorno.
Lupanare
I lupanari erano, nel corso di tutta l'epoca romana, i luoghi deputati al piacere sessuale mercenario, ovvero delle vere e proprie case di tolleranza.
Via dell’abbondanza
Il Foro
In tutte le città romane il foro rappresenta la piazza più importante dove si svolgevano le principali funzioni civili, religiose e commerciali. Anche a Pompei il foro era riservato solo ai pedoni ed era vietato l'accesso ai carri. Solo edifici pubblici si affacciano su questo grande spiazzo della dimensione di 142 m. di lunghezza e 38 m. di larghezza. Il foro si mostra spoglio, senza statue e senza il suo pavimento lastricato in travertino e senza i preziosi marmi che lo ornavano. Si ritiene che poco dopo l'eruzione la zona fu scavata e spogliata degli elementi preziosi riutilizzati in altre opere pubbliche. Sul foro si affacciava il tempio di Giove in seguito divenuto Capitolium e quindi dedicato alle tre principali divinità della città eterna ossia: Giove, Giunone e Minerva.
Tempio di Giove
Il Tempio di Giove domina il lato settentrionale del Foro, e alle sue spalle si erge scenograficamente il Vesuvio. Con la deduzione della colonia (80 a.C.) il tempio fu oggetto di un radicale rifacimento e divenne un vero e proprio Capitolium, con le tre statue di culto di Giove, Giunone e Minerva, che imitavano quelle del Capitolium di Roma, collocate su un’alta base, così da renderle visibili a chi transitava nella piazza del Foro.
I nuovi interventi allungarono la cella del tempio, che venne dotata di un ricco pavimento a mosaico con elementi marmorei. Nel podio si aprono le favissae, ambienti sotterranei in origine destinati ad accogliere le offerte agli dei. Secondo alcuni studi, in un secondo momento probabilmente le favissae custodirono il tesoro pubblico della città.
Tempio di Eumachia
Eumàchia era una sacerdotessa romana del culto di Venere a Pompei, vissuta durante la prima metà del I sec. d.c..
Era figlia di Lucio, un ricco campano, che aveva fatto la sua fortuna grazie alla vendita e produzione di vino, e a quei tempi il vino campano era tra i più preziosi e richiesti, probabilmente trasferitosi a Pompei al tempo di Augusto.
Granai del Foro
Arco Onorario
Casa Pansa
La casa, che occupa l’intero isolato, è uno degli esempi più̀ rappresentativi di dimora aristocratica romana in cui, con grande simmetria, gli ambienti si dispongono intorno all'atrio e al peristilio tra loro in posizione assiale.
Al centro della severa facciata in tufo si apre il monumentale ingresso inquadrato da capitelli tipici della metà del II secolo a.C., epoca di costruzione della casa. Notevole è un’iscrizione dipinta in rosso e ora protetta da un vetro, che è una delle sette in lingua osca presenti in città e funzionali a fornire precise indicazioni alle truppe indirizzandole verso determinati luoghi di difesa in caso di attacco nemico.
Al centro del grande peristilio scandito da 16 colonne di tufo, su cui si aprono gli ambienti più̀ rappresentativi, è posta una grande piscina decorata originariamente da una pittura raffigurante pesci.
Il Fornaio
L'importanza del pane nella dieta degli antichi romani è testimoniata dal ritrovamento di ben 35 panifici. La struttura è abbastanza standard. Il forno del panificio non è variato di molto nei secoli fintanto che si è usato la legna come combustibile. Erano presenti le macine dove dal grano si ricavava la farina, Oltre al forno a volta in mattoni, vi era un locale laboratorio dove lavorare il pane prima di infornarlo.
Via Consolare
La necropoli di Porta Ercolano, che si estende lungo la strada che portava a Napoli. Questa era utilizzata già durante i primi secoli di vita di Pompei, anche se gli edifici funerari oggi visibili sono databili a patire dal I sec. a.C. in poi. Le tombe monumentali illustrano le tipologie funerarie più diffuse dell’epoca.
Altre sepolture sono costruite su un alto podio in forma di altare, come quella di Naevoleia Tychee Munatius Faustus con la raffigurazione del doppio sedile, simbolo dell’onore concesso di sedere in prima fila a teatro e di una nave che entra in porto.
Villa di Diomede
Villa suburbana attribuita a M. Arrius Diomedes, liberto la cui tomba è difronte all'ingresso monumentale della villa, situata in Via dei Sepolcri n.24.
Si entra subito nel peristilio retrostante l'ingresso, sulla sinistra è inserito il reparto balneare, con cucina e serbatoio d'acqua. La soglia a mosaico bianconero del caldarium raffigura due sandali. La pittura megalografica di secondo stile, nell'ambiente infondo al braccio sinistro del peristilio, raffigurante un paesaggio marino con Nereide e tritoni, era stata imbiancata. Il singolare cubicolo semicircolare, con un'alcova che si poteva chiudere con una tenda, della quale sono stati trovati gli anelli, è preceduto dalla stanza del cubicularius (cameriere), decorata in IV stile con quadretti raffiguranti attributi divini (ora nel Museo del Louvre di Parigi). Dalla finestra del tricliniosi godeva di una splendida vista sul mare. Intorno al peristilio della villa, con triclinio estivo e piscina, è il quadriportico di diciassette pilastri per lato. Accanto alla porta postica del portico, in capo alle scalette in discesa verso la costa, si rinvenne il groviglio di scheletri del dominus e di un suo servo, abbracciati. Il signore, con l'anello d'oro al dito e una chiave in mano, portava con sé un piccolo tesoro del valore di 1.356 sesterzi.
Altri diciotto corpi, di donne ingioiellate con i loro schiavi e due bambini, vennero trovati nei sotterranei del criptoportico.
Villa dei Misteri
Prende il nome dalla sala dei misteri ubicata nella parte residenziale dell’edificio, che guarda il mare. Un grande affresco continuo che copre le tre pareti, una delle più conservate opere pittoriche dell’antichità̀, raffigura un rito misterico, cioè̀ riservato ai devoti del culto. La scena è legata a Dioniso che appare sulla parete centrale insieme alla sua sposa Arianna.
La villa comprende anche un quartiere destinato alla produzione del vino con un torchio ligneo ricostruito. Il complesso, risale al II secolo a.C., ma ricevette la sua forma attuale negli anni 80-70 a.C., periodo al quale risale anche il fregio dei misteri.