Reggia di Caserta
La reggia di Caserta è una residenza reale, storicamente appartenuta ai Borbone delle Due Sicilie, ubicata a Caserta. Voluta da Carlo di Borbone, la posa della prima pietra, che diede l'avvio ai lavori di costruzione, si ebbe il 20 gennaio 1752, su progetto di Luigi Vanvitelli: a questo seguirono il figlio Carlo e altri architetti. La reggia venne conclusa nel 1845.
Assieme all'acquedotto Carolino e al belvedere di San Leucio, è stata inserita dall'UNESCO, nel 1997, nella lista dei patrimoni dell'umanità. Costituisce, inoltre, uno dei musei statali italiani, a cui, nel 2016, è stata concessa l'autonomia speciale dal Ministero della cultura.
Nel 1751 Carlo acquistò dalla famiglia Caetani di Sermoneta il feudo di Caserta, comprendente anche la villa, con l'idea di istituire in questo luogo la nuova capitale amministrativa del regno, in un luogo sicuro, lontano dalle eruzioni del Vesuvio e dagli attacchi dei pirati, come quella del 1742, operata dagli Inglesi.Il nuovo palazzo sarebbe dovuto essere completamente autosufficiente, con accanto un nucleo urbano produttivo. Già prima dell'acquisto dell'appezzamento nel 1750, il re aveva scelto Luigi Vanvitelli come architetto, dopo aver avuto il permesso dal papa Benedetto XIV, dato che questo era impegnato nel restauro della basilica della Santa Casa di Loreto. Il progetto della reggia, con annesso giardino, giunse a Napoli il 22 novembre 1751. Il giorno del trentaseiesimo compleanno del re, il 20 gennaio 1752, iniziarono i lavori, con la cerimonia della prima pietra, alla presenza del Nunzio pontificio. Nel cantiere della reggia furono utilizzati operai e schiavi: nel 1760 si contavano oltre duemila uomini. Tutti i prodotti adoperati nella costruzione furono prelevati o prodotti nelle zone circostanti, come il tufo da San Nicola la Strada, la calce da San Leucio, il marmo grigio da Mondragone, la pozzolana da Bacoli e il travertino da Bellona: fanno eccezione il marmo bianco di Carrara e il ferro di Follonica.
Nella reggia, il 22 maggio 1859, morì Ferdinando II delle Due Sicilie. L'anno successivo, precisamente il 21 ottobre 1860, dal palazzo, Giuseppe Garibaldi scrisse al re Vittorio Emanuele II di Savoia per consegnargli la provincia della Terra di Lavoro.
Nel 1919 l'intero complesso passò da bene reale al demanio statale. Subì diversi danni durante la seconda guerra mondiale: nel ottobre 1943 divenne quartier generale degli alleati, mentre il 27 aprile 1945, la Germania nazista firma la resa incondizionata alle forme anglo-americane, sancendo la fine del conflitto.
Lo scalone che conduce all'interno del palazzo è formato da un totale di centosedici gradini in marmo bianco di Carrara ed è composto da una rampa centrale che termina su un pianerottolo, da cui si dipartono altre due rampe parallele che giungono al vestibolo superiore. L'intero ambiente è decorato alle pareti con marmi colorati, con l'aggiunta di colonne in marmo di Biliemi, e l'illuminazione è consentita tramite ventiquattro finestre. La rampa centrale termina con due Leoni, realizzati da Paolo Persico e Tommaso Solari, che stanno a simboleggiare la forza delle armi e della ragione.
Cappella Palatina
Questa è stata consacrata il 25 dicembre 1784 e conserva sull'altare maggiore una tela raffigurante l'Immacolata Concezione, opera di Giuseppe Bonito.
Sala di Marte
La sala di Marte era chiamata anche Anticamera per i Titolati e i Baroni del Regno, Uffiziali Maggiori e Intendenti Esteri, in quanto luogo di raduno dei nobili titolati: fu realizzata da Antonio De Simone con la collaborazione di Étienne-Chérubin Leconte e celebrava le virtù militari francesi che erano riusciti a conquistare Napoli. La volta è affrescata con opere di Antonio Calliano del 1813 raffigurante Il trionfo di Achille protetto da Marte e La Morte di Ettore. Sul camino è posto il bassorilievo Forza, Prudenza e Fama, di Valerio Villareale, mentre sulle sovrapporte sono i bassorilievi con temi riguardanti la guerra di Troia; al centro delle pareti brevi due Vittorie alate. La pavimentazione è del 1815, realizzata con tre diversi tipi di marmi, ossia verde antico, alabastro e di Carrara ed è disposta in modo tale da formare motivi geometrici, con una stella al centro di un esagono incorniciato in una greca. Al centro del salone è una coppa di alabastro e marmo serpentino, di bottega romana, della prima metà del XVIII secolo, donata a Ferdinando II da papa Pio IX per l'ospitalità ricevuta durante la Repubblica romana. Il mobilio comprende delle consolles con piano di marmo orientale: su una di questa poggia un busto, forse raffigurante Arianna, nel quale è incastonato un orologio di Courvoisier Frères, giunto a Caserta nel 1852 e completo di due elementi andati perduti, ossia un diadema in bronzo e una campana di vetro.
Sala di Astrea
La sala di Astrea, chiamata anche Anticamera per i Gentiluomini di Carriera, Ambasciatori, Segretari di Stato e altre persone privilegiate, poiché destinata appunto agli ambasciatori, ai gentiluomini e segretari di stato, deve la sua denominazione all’affresco posto nella volta, raffigurante il Trionfo di Astrea, di Jacques Berger del 1815: il pittore, per ritrarre Astra, si ispirò a Carolina Bonaparte, moglie di Murat. Fu lo stesso Murat a commissionare la camera e i lavori di realizzazione furono curati da Antonio De Simone con l'aiuto di Étienne-Chérubin Leconte. Sui lati brevi della camera sono posti due altorilievi: il primo, di Valerio Villareale, Minerva come Ragione tra la Stabilità e la Legislazione, mentre il secondo, di Domenico Masucci, Astrea tra Ercole e il Regno delle due Sicilie. Anche i bassorilievi posti nella volta, di colore dorato, hanno come tema la figura di Astrea.
Sala del Trono
La sala del Trono ha una lunghezza di trentacinque metri per una larghezza di tredici ed è illuminato da sei finestre; venne completata nel 1845, in occasione del Congresso degli scienziati italiani: i lavori iniziarono nel 1811 sotto la direzione di Pietro Bianchi per poi passare nelle mani di Gaetano Genovese. Lungo le pareti sono poste ventotto colonne scanalate, disposte in coppia, i cui capitelli sono stati scolpiti da Gennaro Aveta: l'artista è anche l'autore delle decorazioni delle sovrapporte ritraenti simboli borbonici e onorificenze del regno. Sulle pareti brevi sono presenti due bassorilievi che hanno come tema la Fama, opera di Tito Angelini e Tommaso Arnaud, mentre sull'architrave sono posti 44 medaglioni con i ritratti dei re di Napoli, da Ruggiero il Normanno fino a Ferdinando I. La posa della prima pietra del Palazzo il 20 gennaio 1752. Il trono, posto sul fondo della sala, è in legno intagliato e dorato, con braccioli a forma di leoni alati, ai lati due sirene simbolo della città di Napoli e rivestito in velluto blu: probabilmente era un trono da barca, risale al XIX secolo.
Oratorio Pio IX
L'oratorio di Pio IX, già oratorio di corte, venne dedicato a papa Pio IX in occasione della sua visita alla reggia nel 1850, ospite di Ferdinando II. L'altare è stato progettato da Antonio Niccolini e realizzato tra il 1830 e il 1848, e sul quale è scolpita una raffigurazione della Vergine tra angeli e cherubini in marmo, di Gaetano Della Rocca. Il resto delle decorazioni della cappella sono di chiara ispirazione a Correggio e Pinturicchio: è custodito anche un ritratto di Pio IX, di Lorenzo Bartolini del 1847.
Sala d’Estate
La sala dell’Estate è collocata dopo la Sala della Primavera e prima di quella dell’Autunno. La sala dell’Estate è definita nelle notazioni inventariali “Stanza dove dà udienza il re” ed come tutte le altre stanze della Reggia di Caserta, sulle pareti, sovrapporte, sopraspecchi e soffitto, è affrescata da capolavori. Sulle sovrapporte si possono ammirare i capolavori di Giovan Battista Rossi, documentato a Caserta Nuova tra il 1749-1782 che raffigurano le Arti Liberali. Una delle sovrapporte reca l’allegoria dell’Astronomia che però è senza costellazioni. Alle pareti si trovano i quadri del pittore austriaco Hickel, che raffigura i due principini di Maria Teresa di Borbone, primogenita di Ferdinando IV e Maria Carolina. Il soffitto è affrescato dal capolavoro ” Proserpina che durante l’Estate ritorna dal regno dei morti alla madre Cerere”, di Fedele Fischetti. Il tema mitologico allude ancora una volta al ciclo delle Stagioni. Figlia di Cerere, dea della terra e della fertilità, Proserpina fu rapita da Plutone, dio degli Inferi.
Dopo che la madre ebbe chiesto a Giove di farla liberare, Proserpina poté ritornare in superficie a patto che trascorresse sei mesi di ogni anno con Plutone. Cerere faceva calare il freddo e il gelo durante i mesi in cui la figlia era assente, come segno di dolore, per poi far risvegliare la natura con l’avvento della primavera e dell’estate, mesi in cui Proserpina poteva far ritorno da sua madre sulla Terra. L’arredo della sala è composto da angoliere e consolles con ripiano di marmo di Mondragone, opera di Gennaro Fiore (seconda metà del XVIII sec.), impegnato anche nella realizzazione delle fasciature e degli intagli in stagno e piombo che incorniciano le pareti della sala. Le dorature e le dipinture dei fondi furono eseguite da Bartolomeo di Natale (documentato a Caserta negli anni ottanta del XVIII sec.). Al centro della sala è posto un tavolino con piano in legno pietrificato in stile neobarocco, disegnato e lavorato dal Real Opificio Pietre Dure diretto da Giovanni Mugnai.
Sala d’Autunno
La stanza dell’autunno, chiamata nelle notazioni inventariali del 1799 “Stanza appresso a quella dell’udienza”, è collocata dopo la stanza dell’Estate. La stanza presenta affreschi sulle sovrapporte e sopraspecchi che rappresentano figure mitologiche che a partire da sinistra sono: Cecere, Allegoria di Diana, Vulcano, Allegoria di Saturno, Giunone, Allegoria di Apollo, Nettuno ed Allegoria di Marte. Tra queste figure, quelle che saltano all’occhio del visitatore sono Nettuno, dio dei mari che si riconosce dal tridente che possiede in mano e Apollo, il dio del sole, che lo si riconosce dal carro che tiene affianco. Queste figure sono opere di Gaetano Storace, realizzate nella seconda metà del XVIII secolo. Al centro del soffitto, quindi spostando gli occhi in alto, si nota il capolavoro “L’incontro tra Bacco e Arianna”, opera di Antonio Dominicis, il che vuole rappresentare l’incontro di Bacco, dio del vino, e Arianna, figlia del re di Creta. Arianna abbandonata da Teseo, si incontrò con Bacco e divenne sua sposa. L’abbellimento è stato realizzato con la lavorazione di legno tinto bianco con intagli dorati e tre consolles con piano in marmo di Vitulano. I lavori di intaglio e le fasciature in legno e piombo, furono realizzate da Gennaro Fiore, sempre nella seconda metà del XVIII secolo. Questa stanza presenta anche nature morte sempre del XVIII, dipinte da Giacomo Nani, Tommaso Realfonso e Gaetano Lopez. Infine le dorature e le dipinture dei fondi, furono eseguite da Bartolomeo di Natale. I lavori di decorazione furono terminati tra il 1780-1784.
Sala d’Inverno
La stanza dell’Inverno è collocata dopo la stanza dell’Autunno. La stanza dell’Inverno nelle notazioni inventariali, è nominata ” Stanza dove si spoglia e veste S.M. il Re”. La stanza presenta affreschi sulle sovrapporte, opere di Girolamo Starace. Le figure rappresentate sono: Marte, Diana, Saturno, Apollo, Mercurio, Venere e Giove. Le figure mitologiche rappresentano una loro funzione e ne ricordiamo 5. Venere è la dea dell’amore, Apollo è dio del Sole, Giove re degli dei che ha un fulmine in atto di scagliare per punire gli umani, Saturno rappresenta il tempo e Marte dio della guerra. I dipinti alle pareti sono opere di Jacob Philip Hackert, commissionategli dal Re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone. Dalla sinistra si ha: Esercitazioni militari a Santa Maria della Piana, nei pressi di Sessa Aurunca; Caccia nel Cratere degli Astroni, Caccia al cinghiale di Ferdinando IV a Calvi, Caccia al cinghiale dal Ponte di Venafro ed infine Esercitazioni militari a Gaeta il 19 maggio 1787. La stanza è stata abbellita con sedie e divani, in legno bianco e oro, opere realizzate da Nicola e Pietro di Fiore. In ultimo al centro della stanza, troverete un tondo con piano in pietre dure su disegno di Gaspare Mugnai, direttore del Laboratorio Reale di Pietre Dure.
Stanza da letto di Ferdinando IV
Camera da letto di Ferdinando IV. In questa camera morì, il 22 maggio 1859, Ferdinando II, di una misteriosa malattia che venne ritenuta contagiosa e per questo motivo l'intero mobilio fu bruciato e la sala nuovamente arredata, questa volta con mobili in stile Impero. Tra il mobilio: due comodini a pilastro, una scrivania intarsiata e un comò decorato in bronzo dorato; i vasi e i busti di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia, questi ultimi due di Luigi Pampaloni, sono in porcellana napoletana. Su una parete Allegoria per la morte di due figli di Ferdinando IV.
Gabinetto degli stucchi
In questa stanza dell’appartamento della Regina l'affresco del soffitto, La toilette di Venere, è opera di Fedele Fischetti.
Biblioteca Palatina
La biblioteca palatina venne realizzata in circa tre anni per volere della regina Maria Carolina d'Austria, a cui si aggiunsero integrazioni da parte di Gioacchino Murat e Ferdinando II, lungo il lato orientale del palazzo. I volumi raccolti, circa quattordicimila, vennero ordinati per materie da Francesco Ceva Grimaldi: gli argomenti trattati spaziano dalla cultura europea a quella napoletane e viennese, dall'archeologia alla matematica, dalla geografia, dalla botanica, dalla zoologia e dai libretti d'opera, di balli e musica e sui teatri napoletani.
Presepe Reale
All'interno della Sana ellittica, nel 1988, è stato allestito il Presepe Reale. Questo venne approntato per la prima volta nel 1844 da Giovanni Cobianchi nella Sala della Racchetta. Il presepe venne ritratto in alcuni dipinti realizzati da Salvatore Fregola ed esposti nella sala: è stato proprio grazie a queste pitture che è stato possibile ricostruire la scenografia simile a quello originario, anche se numerosi pezzi sono andati perduti. Oltre alla classica scena della natività e dell'osteria, sono presenti la carovana dei Georgiani e numerose figure del mondo popolare e contadino; i pastori sono opera di Nicola Somma, Francesco Gallo, Salvatore Franco, Lorenzo Mosca, Giuseppe Gori e Francesco e Camillo Celebrano.
Il parco della Reggia di Caserta fu progettato da Luigi Vanvitelli e completato dal figlio Carlo, a cui collaborarono diversi botanici. Come modello ispirativo gli architetti si rifecero alla reggia di Versailles e del palazzo Reale della Granja de San Ildefonso. Suddiviso in giardino all'italiana e giardino inglese, il parco ha una superficie di 120 ettari per una lunghezza di quasi tre chilometri.
Il giardino all'italiana è costituito da una serie di aiuole e fontane, alimentate originariamente dall'acquedotto Carolino, costruito insieme alla reggia.