Foro Romano





Arco di Costantino

È il più grande dei tre archi trionfali ancora conservati a Roma, alto circa 25 metri, posto lungo la strada abitualmente percorsa dai trionfi, nel tratto compreso tra il Circo Massimo e l’Arco di Tito.

L’arco fu eretto nel 315 per celebrare la vittoria dell’imperatore Costantino su Massenzio, avvenuta il 28 ottobre del 312 d.C nella battaglia di Ponte Milvio, e fu realizzato riutilizzando in parte materiali ed elementi architettonici provenienti da monumenti imperiali più antichi, appartenuti alle età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio. Tutti i volti degli imperatori presenti nei rilievi sono stati rimodellati a somiglianza di Costantino, con il nimbo a connotarne la maestà imperiale.

L’arco si presenta a tre fornici: quello centrale, più ampio, riporta una ricca decorazione a rilievo su tutti i lati. Al di sopra degli archi minori, sono narrate le imprese di Costantino nella campagna contro Massenzio. Più in alto, nei tondi di età adrianea, sono rappresentate scene di caccia e di sacrificio. Nell’attico, si stagliano otto statue di Daci, provenienti dal Foro di Traiano, che fiancheggiano la lunga iscrizione e i grandi pannelli del periodo di Marco Aurelio, con episodi della guerra germanica. Le basi delle colonne corinzie sono decorate con figure allegoriche.


Tempio di Venere e Roma

Su un alto basamento che affaccia sulla Valle del Colosseo si erge il tempio che Adriano volle dedicare alla dea Roma e alla dea Venere. L’edificio fu edificato a partire dal 121 d.C. su progetto dello stesso imperatore, ma completato solo intorno al 140 d.C. sotto Antonino Pio. La pianta è caratterizzata da due celle orientate in senso opposto (una per ciascuna divinità venerata) e precedute da un vestibolo. Della cella rivolta verso il Colosseo, dedicata a Venere, rimane solo l’abside, mentre nella cella opposta, dedicata a Roma, venne costruito già nell’VIII secolo un oratorio in onore dei Santi Pietro e Paolo, poi trasformato nella chiesa di Santa Maria Nova, e dal XV secolo in Santa Francesca Romana.

 

Nel 283 d.C. un incendio distrusse parte del tempio adrianeo. Il restauro si deve a Massenzio che, nel 307, fece sostituire la copertura originale delle due celle con volte cassettonate.


Arco di Tito

Alle pendici del Palatino, là dove il clivus inizia la sua salita verso il colle, si erge l’Arco di Tito. Con ogni probabilità venne fatto costruire, per volontà del Senato e del popolo romano – come si legge nell’iscrizione posta sul lato dell’arco verso il Colosseo –, da Domiziano, ultimo imperatore della dinastia Flavia, in memoria del fratello Tito, già divinizzato, per celebrarne il trionfo nella guerra giudaica del 70 d.C. (anche se di questo trionfo non si fa cenno). L’arco, ad un solo fornice e in marmo pentelico, è finemente decorato. All’esterno è visibile un piccolo fregio continuo su cui si snoda la processione trionfale, e due Vittorie alate sono poste negli archivolti; all’interno, al centro della volta a cassettoni un rilievo mostra l’apoteosi di Tito, che ascende al cielo su di un’aquila, mentre sulle pareti due grandi pannelli illustrano i momenti principali del trionfo. In uno avanza la quadriga imperiale, guidata dalla dea Roma, con Tito incoronato dalla Vittoria; nell’altro i soldati romani traportano le opere trafugate dal Tempio di Gerusalemme: le trombe d’argento, la mensa dell’arca dell’alleanza e il candelabro a sette bracci.



Santa Francesca Romana

La chiesa di Santa Francesca Romana è anche conosciuta come "Santa Maria Nova al Foro Romano".

 

Si trova in una suggestiva posizione, circondata dal colle Oppio, dal colle Celio e dal colle Palatino, nella zona si trovano anche il Colosseo, e l'arco di Settimio Severo. La chiesa ed il compendio monastico sono stati costruiti nello stesso luogo dove nell'antichità sorgeva il tempio dedicato alla Dea Venere, che a sua volta era stato eretto ad opera dell'Imperatore Adriano. La cella della suddetta divinità è attualmente visibile all'interno del convento degli Olivetani. Originariamente la chiesa è stata dedicata agli Apostoli Pietro e Paolo, e le venne dato il nome di Santa Maria Antiqua, fino all'anno 707. 


In seguito, con il papa Leone IV è stata denominata S. Maria Nuova. Nel 1484 nella chiesa vi è stata sepolta Santa Francesca Romana, matrona romana appartenente alla nobile famiglia dei Ponziani e istitutrice dell'ordine religioso delle oblate di Tor de’ Specchi, cosa chiesa ha assunto la denominazione con la quale è conosciuta attualmente: Santa Francesca Romana. Con l'applicazione delle leggi eversive la chiesa e l'annesso monastero vennero sottratti, con Decreto del 2 giugno 1872, alla disponibilità patrimoniale dei monaci Benedettini, ai quali rimase tuttavia affidato l'incarico di provvedere all'ufficiatura della stessa.






Il fulcro del complesso monumentale legato al culto di Vesta è il tempio dedicato alla dea, culto antichissimo e risalente già al secondo re di Roma Numa Pompilio, più volte ricostruito a causa dei numerosi incendi e infine restaurato, nelle forme visibili ancora oggi, dall’imperatrice Giulia Domna verso la fine del II secolo d.C. Dal podio circolare in opera cementizia rivestito in marmo, si innalzavano colonne con capitelli corinzi. L’interno accoglieva il braciere con il fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, simbolo dell’eternità di Roma e del suo destino di impero universale. La forma circolare era forse ispirata a quella delle capanne di epoca arcaica, con un foro al centro del tetto conico per far uscire il fumo., 


All’interno del tempio era anche conservato il Palladio, piccolo simulacro di Atena-Minerva, portato a Roma, secondo la leggenda, da Enea e simbolo della nobiltà della stirpe romana.

 

Accanto al tempio è la casa delle Vestali, sacerdotesse dedicate al culto di Vesta e alla sorveglianza del fuoco sacro, l’unico sacerdozio femminile di Roma. In numero di sei e provenienti da famiglie patrizie dovevano osservare il loro servizio per 30 anni, conservando la verginità, pena la morte. In cambio godevano di molti privilegi (si spostavano in carro in città e disponevano di posti riservati negli spettacoli).



L’ingresso alla Casa, noto anche con il nome di Atrium Vestae, è affiancato da una edicola con alto basamento e due colonne ioniche, probabilmente destinata ad ospitare la statua della Dea. L’edificio si incentra su un cortile, circondato da un portico a due piani popolato da statue, oggi esposte in copia, delle Vestali Massime che erano poste a capo dell’ordine religioso. Sul giardino, caratterizzato da tre vasche, si aprivano le stanze disposte anche su più piani, ove tra altri ambienti è possibile riconoscere un mulino e un forno. Il piano superiore, probabilmente ad uso privato, comprendeva anche bagni e impianti di riscaldamento, ed era sovrastato da un ulteriore piano forse destinato al personale di servizio. L’insieme degli edifici, di fondazione repubblicana, fu più volte ricostruito e ampliato fino a Costantino (306-337 d.C.).


Basilica di Costantino e Masenzio

Si tratta di uno dei più grandi monumenti del Foro Romano   e uno dei più importanti edifici di età tardo-antica.  La costruzione venne avviata da Massenzio sull'area dove in  ii precedenza erano i magazzini per la lavorazione e conserva  zione delle spezie (Horrea Piperitaria); l'opera però venne   portata a termine soltanto da Costantino, e infine ristruttura  verso la fine del IV sec. d.C.

 Lo schema della basilica è quello classico (potete vedere la   piantina qui a fianco): tre navate, quella centrale più grande  e alta rispetto alle due laterali di uguale dimensione, e scandita da alte colonne di marmo proconnesio sfortunatamente andate perse ad eccezione di una che venne posta nel 1613 nella Piazza di Santa Maria Maggiore.

Originariamente l'ingresso si doveva trovare sul lato est, verso il tempio di Venere e Roma (dal lato del Colosseo); vi cinque grandi passaggi che portavano a una specie di   atrio dal quale si passava alla navata centrale (lunga 80 m, larga 25 m e alta 35 m). La navata era divisa da potenti pi  lastri, quattro dei quali isolati al centro, che la dividevano in tre parti, ognuna coperta da una grande volta a crociera, e  terminava con un'abside. All'interno di questa si trovava una  statua gigantesca originariamente raffigurante Massenzio ma  in seguito adattata per Costantino; la statua era di tipo acrolito (parti scoperte del corpo in marmo, il resto in altro materiale, probabilmente bronzo dorato). Le parti marmoree rinvenute nel 1487 (la testa alta 2.6 m e il piede lungo 2 m) possono essere viste presso il cortile del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio.

Le due navate laterali (come quella centrale) erano suddivise  ognuna in tre settori che erano coperti, trasversalmente rispetto alla navata centrale, da una volta a botte ornata da cassettoni ottagonali. Al centro della navata laterale settentrionale vi era un'altra grande abside preceduta da una coppia di colonne e con le pareti adornate da nicchie per statue inquadrate da colonnine su mensoloni scolpiti. In corrispondenza di quest'abside sul lato sud, verso la via Sacra (dal lato del Foro), venne aperto un nuovo ingresso sotto Costantino, che spostò l'asse principale mantenendo però inalterata la tripartizione interna, sia pure in senso opposto. L'ingresso era formato da una scalinata, che serviva a superare il dislivello tra la strada e la basilica, e da un avancorpo  sostenuto da quattro colonne di porfido.

 

La basilica è stata recentemente identificata come la sede della Prefettura Urbana, la più importante fra le cariche della città in età tardo-antica; presso la basilica (precisamente nell'abside della navata settentrionale) nel IV secolo sarebbe  stato trasferito il Secretarium Senatus (la sede del tribunale  per i processi ai membri del Senato) dall'area della Curia Giulia. Di tutto il monumento è rimasta in piedi la sola navata minore settentrionale con la grande abside e le arcate delle volte a  botte. Tutto il resto crollò probabilmente già con il terremoto  al tempo di papa Leone IV (metà del IX secolo) e i materiali,  tra cui le lastre di bronzo dorato che ricoprivano il tetto (fatte  togliere da papa Onorio I nel 626 per San Pietro), furono asportati e reimpiegati in altre costruzioni.


Tempio del Divo Romolo

Sul Tempio di Romolo sono state avanzate numerose ipotesi ma, la più nota è quella secondo la quale l’imperatore Massenzio avrebbe riutilizzato l’edificio come tempio dedicato al figlio, Valerio Romolo, morto nel 309 e divinizzato. Nella rotonda si succedono diversi cicli di decorazioni parietali: alla metà del XIII secolo possono essere assegnate pitture a imitazione di tendaggi o velari che in origine decoravano le pareti. Nella nicchia sulla sinistra è rappresentato Cristo in trono tra Maria Maddalena e Maria Salomè. A sinistra dell’ingresso è conservato un monumento funerario costituito da un tabernacolo con al centro la Madonna in trono con Bambino tra i Santi Medici: il dipinto è attribuito a Jacopo Torriti ed è databile alla fine del XIII secolo.


È un piccolo tempio circolare costruito in mattoni e coperto da una cupola di circa 15 metri di diametro. Ai suoi lati, due profonde sale che si terminano in un’abside erano precedute ciascuna da due colonne su alti plinti, di cui sono conservate quelle a destra. La sala principale della rotonda con la sua facciata concava, la sua cupola e le due stanze absidali sono conservate, così come l’antica porta di bronzo, le due colonne di porfido rosso che la incorniciano e la ricca cornice di marmo bianco che la sormonta. Possiamo vedere l’interno della rotonda attraverso una vetrata situata nella chiesa, la porta sul foro essendo chiusa. Possiamo vedere le decorazioni murali, in particolare del XIII secolo. 






Tempio di Antonino e Faustina

Questo Tempio  fu costruito nel 141 d. C. Fu trasformato in epoca cristiana nella chiesa di San Lorenzo in Miranda, edificata sui resti della cella del tempio, di cui si conserva la facciata con le colossali colonne in marmo dell’Eubea.






Tempio di Vesta


Il fulcro del complesso monumentale legato al culto di Vesta è il tempio dedicato alla dea, culto antichissimo e risalente già al secondo re di Roma Numa Pompilio, più volte ricostruito a causa dei numerosi incendi e infine restaurato, nelle forme visibili ancora oggi, dall’imperatrice Giulia Domna verso la fine del II secolo d.C. Dal podio circolare in opera cementizia rivestito in marmo, si innalzavano colonne con capitelli corinzi. L’interno accoglieva il braciere con il fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, simbolo dell’eternità di Roma e del suo destino di impero universale. La forma circolare era forse ispirata a quella delle capanne di epoca arcaica, con un foro al centro del tetto conico per far uscire il fumo. All’interno del tempio era anche conservato il Palladio, piccolo simulacro di Atena-Minerva, portato a Roma, secondo la leggenda, da Enea e simbolo della nobiltà della stirpe romana.

Accanto al tempio è la casa delle Vestali, sacerdotesse dedicate al culto di Vesta e alla sorveglianza del fuoco sacro, l’unico sacerdozio femminile di Roma. In numero di sei e provenienti da famiglie patrizie, dovevano osservare il loro servizio per 30 anni, conservando la verginità, pena la morte. In cambio godevano di molti privilegi (si spostavano in carro in città e disponevano di posti riservati negli spettacoli).

 

L’ingresso alla Casa, noto anche con il nome di Atrium Vestae, è affiancato da una edicola con alto basamento e due colonne ioniche, probabilmente destinata ad ospitare la statua della Dea. L’edificio si incentra su un cortile, circondato da un portico a due piani popolato da statue, oggi esposte in copia, delle Vestali Massime che erano poste a capo dell’ordine religioso. Sul giardino, caratterizzato da tre vasche, si aprivano le stanze disposte anche su più piani, ove tra altri ambienti è possibile riconoscere un mulino e un forno. Il piano superiore, probabilmente ad uso privato, comprendeva anche bagni e impianti di riscaldamento, ed era sovrastato da un ulteriore piano forse destinato al personale di servizio. L’insieme degli edifici, di fondazione repubblicana, fu più volte ricostruito e ampliato fino a Costantino (306-337 d.C.).



Regia

 

Costruita secondo la tradizione da Numa Pompilio come sua residenza, ispirandosi ai modelli delle dimore etrusche, e sede del Pontefice Massimo. Dopo una prima ricostruzione nel 148 a. C. venne riedificata nel 36 a. C. da Domizio Calvino.


Arco di Augusto

Nell’area del Foro Romano, compresa tra il tempio dei Dioscuri e il tempio del divo Giulio, è ancora visibile un piano lastricato leggermente rialzato appartenente ai resti di un arco a tre fornici fatto erigere da Augusto. Porzioni del monumento, di cui rimangono sul posto le fondazioni dei piloni e il lastricato in travertino, ma soprattutto parti di colonne e capitelli, furono scoperti durante scavi risalenti al Cinquecento e, successivamente, all’Ottocento. Grazie ad una moneta che lo rappresenta e allo studio dei reperti conservati nei depositi del Parco archeologico si ritiene che l’arco presentasse tre fornici e che solo l’arcata centrale, realizzata nell’ordine corinzio, fosse coperta a volta, mentre le arcate laterali, in ordine dorico, erano caratterizzate da soffitti piani e coronate da timpani triangolari. Sopra l’arcata centrale, doveva essere collocata l’iscrizione dedicatoria, sormontata dalla raffigurazione di Augusto sulla quadriga. Su questo monumento la letteratura di settore si è alquanto dilungata in merito all’attribuzione, alla cronologia e alla forma architettonica. L’esito delle ricerche più recenti sembra non avere più dubbi sulla datazione al 19 a.C. e quindi sulla attribuzione alla vittoria diplomatica conseguita da Augusto con la restituzione delle insegne strappate a Crasso, nel 53 a.C., a Carre in Turchia da parte dei Parti.


Arco di Augusto

Nell’area del Foro Romano, compresa tra il tempio dei Dioscuri e il tempio del divo Giulio, è ancora visibile un piano lastricato leggermente rialzato appartenente ai resti di un arco a tre fornici fatto erigere da Augusto. Porzioni del monumento, di cui rimangono sul posto le fondazioni dei piloni e il lastricato in travertino, ma soprattutto parti di colonne e capitelli, furono scoperti durante scavi risalenti al Cinquecento e, successivamente, all’Ottocento. Grazie ad una moneta che lo rappresenta e allo studio dei reperti conservati nei depositi del Parco archeologico si ritiene che l’arco presentasse tre fornici e che solo l’arcata centrale, realizzata nell’ordine corinzio, fosse coperta a volta, mentre le arcate laterali, in ordine dorico, erano caratterizzate da soffitti piani e coronate da timpani triangolari. Sopra l’arcata centrale, doveva essere collocata l’iscrizione dedicatoria, sormontata dalla raffigurazione di Augusto sulla quadriga. Su questo monumento la letteratura di settore si è alquanto dilungata in merito all’attribuzione, alla cronologia e alla forma architettonica. L’esito delle ricerche più recenti sembra non avere più dubbi sulla datazione al 19 a.C. e quindi sulla attribuzione alla vittoria diplomatica conseguita da Augusto con la restituzione delle insegne strappate a Crasso nel 53 a.C. a Carre in Turchia da parte dei Parti.


Tempio dei Dioscuri

Su un alto podio sorgono le tre colonne corinzie superstiti del Tempio dei Dioscuri, ovvero dei due gemelli divini Castore e Polluce. La leggenda narra che, nel corso della battaglia presso il lago Regillo (499 a.C.), che opponeva i Romani ai Latini, alleati di Tarquinio il Superbo nel tentativo di riconquistare Roma, apparvero due misteriosi cavalieri, che guidarono i Romani alla vittoria. Subito dopo, gli stessi cavalieri furono visti abbeverare i cavalli alla Fonte di Giuturna ed annunciarono in città la vittoria, per scomparire subito dopo. Il popolo riconobbe in essi i Dioscuri: il dittatore Aulo Postumio Albino fece voto di erigere un tempio in loro onore, che fu dedicato da suo figlio nel 484. Il tempio fu restaurato da L. Cecilio Metello Dalmatico nel 117 a.C. e poi ancora da Verre. Un ultimo restauro si ebbe dopo l’incendio del 12 a.C. ad opera di Tiberio: il nuovo edificio, al quale appartengono i resti monumentali ancora visibili, fu dedicato nel 6 d.C. Il podio, di cui resta soltanto la parte in opera cementizia, è in gran parte quello del 117 a.C. ed ingloba vari resti della fase precedente. Un blocco marmoreo del tempio fu asportato ed utilizzato come base della statua equestre di Marco Aurelio.


Ad est del tempio dei Dioscuri, e ad esso collegata, è situata la Fonte di Giuturna, dedicata alla ninfa sorella del re dei Rutuli, Turno. Le sue acque, considerate salutari, venivano raccolte in un bacino (“lacus“) approssimativamente quadrato, di circa m 5 per lato, rivestito di marmo ed al centro del quale si può ancora notare un piedistallo rettangolare, al centro del quale vi erano collocate le due statue dei Dioscuri (ritrovate a pezzi nel bacino ed oggi esposte nell’Antiquarium), proprio in ricordo dell’apparizione dei due gemelli presso la fonte. o scavo, avvenuto nel 1900, ha riportato in luce la sorgente, che aveva assunto già in età repubblicana un aspetto monumentale. Il bacino, posto ad un livello più basso di circa un metro rispetto a quello attuale, corrispondente alla pavimentazione augustea, è in opera quasi reticolata, tipica della fine del II e degli inizi del III secolo a.C., con restauri in opera reticolata, di inizio Impero, probabilmente in coincidenza del restauro tiberiano del tempio dei Dioscuri. Sul bordo della fonte vi è il calco di una base qui scoperta (l’originale è all’Antiquarium) di età traianea, con la rappresentazione dei Dioscuri, dei loro genitori Giove e Leda, e di Giuturna. Il tempietto della divinità (nella foto 2), anch’esso aggiunto in età traianea, è situato a sud del bacino, appoggiato all’Oratorio dei Quaranta Martiri, ed è sormontato da un’iscrizione con dedica a Giuturna. Davanti ad esso vi è un pozzo marmoreo con l’iscrizione, ripetuta due volte, dell’edile curule del periodo augusteo M.Barbatius Pollio ed un’ara di età severiana con la rappresentazione di Giuturna e di Turno.



Il tempio di Augusto

Era un tempio dedicato ad Augusto (il primo imperatore romano) divinizzato, costruito nel Foro Romano a Roma da Tiberio e completato e dedicato da Caligola poco dopo il 37. Il tempio fu distrutto da un incendio, non è chiaro se all'epoca di Domiziano o subito prima, poi restaurato, da Domiziano stesso, che pare abbia edificato un tempio a Minerva in qualche modo collegato a quello di Augusto. Antonino Pio restaurò pesantemente il tempio, forse dopo essere stato nuovamente distrutto. L'ultima testimonianza dell'esistenza del tempio risale al 248.



Basilica Emilia

La basilica Emilia, unica superstite delle basiliche repubblicane (la Porcia, la Sempronia e l’Opimia sono totalmente scomparse), fu fondata dai censori del 179 a.C., Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore (quest’ultimo ne curò particolarmente la costruzione tanto che inizialmente fu denominata “basilica Fulvia”). Dopo i vari restauri dovuti ai membri della “gens Aemilia” (nel 78, 54, 34, 14 a.C. e nel 22 d.C., sotto Tiberio), essa assunse poi il nome definitivo di “basilica Aemilia“. Un ultimo restauro si ebbe dopo l’incendio che, dalle monete ritrovate fuse sul pavimento, si può datare all’inizio del V secolo, ricollegabile quindi al sacco di Alarico del 410 d.C. I resti di quell’incendio furono coperti con un pavimento nuovo, posto ad un livello più alto. L’origine di questo tipo di edifici, introdotti in Italia dopo la seconda guerra punica, va ricercata nelle grandi città dell’Oriente ellenistico, confermato anche dal nome di evidente origine greca, che si ricollega con il “portico regio” (stoà basileios) dell’Agorà di Atene. In genere si afferma che la funzione di questi edifici può essere assimilata a quella di una Borsa e di un tribunale insieme: in realtà la basilica a Roma era soltanto un ampio spazio coperto, destinato, nella cattiva stagione, a ricoprire le funzioni che erano proprie del Foro, ospitare cioè i tribunali e tutte le transazioni economiche che in periodi più favorevoli si svolgevano all’aperto. Si trattava di coprire il più ampio spazio possibile tramite file di colonne o pilastri destinati a sostenere la copertura, che creavano così una serie di navate.



Basilica Giulia

La basilica Giulia occupa il luogo di una delle più antiche basiliche, la Sempronia, eretta dal censore Tiberio Sempronio Gracco, il padre dei celebri Tiberio e Gracco, nel 170 a.C. Sappiamo da Livio che, per fare ciò, Gracco demolì la casa di Scipione l’Africano ed alcune botteghe ad essa connesse. La basilica Giulia fu iniziata da Gaio Giulio Cesare probabilmente già nel 54 a.C., insieme al nuovo Foro di Cesare. Completata da Augusto, bruciò nel grave incendio del 12 a.C. Ricostruita, fu dedicata ai due figli adottivi dell’imperatore, Gaio e Lucio, ma mantenne sempre il nome primitivo. Danneggiata dall’incendio di Carino nel 283, fu ricostruita da Diocleziano. A causa di continui saccheggi, ben poco sopravvive dell’antico edificio: praticamente solo il podio, che sorge su alcuni gradini (sette all’angolo est, uno solo a quello ovest), dove si possono ammirare il pavimento ed i resti di alcune colonne. I suoi limiti sono segnati dalle due strade principali che, provenendo dal Tevere, conducono al Foro Romano: il “Vicus Iugarius” a ovest ed il “Vicus Tuscus” a est. Il “Vicus Jugarius” corrisponde al tracciato attuale di via della Consolazione e di vico Jugario, che congiungeva il Foro Romano alla porta Carmentalis presso il Foro Olitorio, passando sotto il Campidoglio, mentre il “Vicus Tuscus” corrisponde all’attuale tracciato di via s. Teodoro, che deviando presso la via del Velabro, congiungeva il Foro Romano al Foro Boario. La basilica Giulia misurava complessivamente m 101 x 49 ed era costituita da un edificio comprendente cinque navate: la grande sala centrale di 82 x 18 metri, era circondata sui quattro lati da due portici successivi ed in essa aveva sede il tribunale dei centumviri. Tende o tramezzi in legno la dividevano in settori, utilizzati da quattro tribunali contemporaneamente: solo in caso di giudizi particolarmente importanti si rendeva necessaria tutta la sala.



Colonna di Foca

Ultimo monumento ad essere stato eretto nel Fore nell’anno 608 da Smaragdo esarca d’Italia, in onore dell’imperatore di Bisanzio Foca, era anticamente sovrastato dall’effige in bronzo dorato del sovrano di Bisanzio.



Tempio di Saturno

La costruzione del Tempio di Saturno iniziò nel periodo regio ma fu inaugurato soltanto nei primi anni della Repubblica, probabilmente nel 498 a.C. L’edificio fu interamente ricostruito a partire dal 42 a.C. da Lucio Munazio Planco con il bottino della guerra di Siria e restaurato dopo l’incendio del 283 d.C a cura del Senato: proprio a questo ultimo restauro appartiene quanto rimane del tempio, ossia le otto colonne di granito grigio con capitelli ionici di marmo bianco, l’architrave ornato sulla faccia interna da un motivo di palmette in rilievo ed il frontone principale, in gran parte costruito con materiale di recupero. L’iscrizione che corre sul fregio ricorda proprio un restauro eseguito in seguito ad un incendio: “SENATUS POPULUSQUE ROMANUS INCENDIO CONSUMPTUM RESTITUIT“, ossia “Il Senato e il Popolo Romano restituirono (il tempio) rovinato dall’incendio”. Il grandioso podio rivestito di travertino appartiene invece al restauro di Munazio Planco, dinanzi al quale un avancorpo (oggi in gran parte crollato), internamente vuoto, custodiva l’Erario, ovvero il Tesoro dello Stato Romano. Sulla facciata orientale del podio sono visibili numerosi fori disposti ordinatamente in modo da formare un pannello rettangolare, sul quale venivano esposti i documenti pubblici. Nel giorno di dedica del tempio, il 17 dicembre, si celebrava, con scatenata libertà, la festa di fine anno, i Saturnali.


Portico degli Dei Consenti

La sua primitiva costruzione è fatta risalire alIV secolo a. C. ma fu Domiziano a tracciarne la struttura creando una platea su cui eresse un portico. Caduto in rovina, esso fu ricostruito nel 367 d. C.  E decorato con statue di divinità poste a coppie. Giove e Giunone, Nettuno e Minerva, Vulcano e Vesta, Apollo e Diana, Marte e Venere, Mercurio e Cerere.





Le origini della chiesa risalgono al VI secolo quando papa Onorio I volle dedicare un edificio sacro a s. Martina, martire a Roma nel 228 durante l’impero di Alessandro Severo, sfruttando proprio gli antichi ambienti della “Curia Hostilia” che nel frattempo erano stati adattati a “Secretarium Senatus“, un edificio dalla destinazione alquanto incerta: da sede di tribunale per i processi ai membri del Senato, ad archivio senatoriale o a luogo adibito a riunioni segrete dei Senatori. L’invidiabile posizione di questa chiesa, posta tra il Foro Romano ed i Fori di Cesare e di Augusto, le valse anche l’appellativo di “s. Martina in tribus foris“. Nella sua fase più antica la chiesa aveva pianta rettangolare con abside finché nel 1588 papa Sisto V decise di affidarla all’Accademia di s. Luca, originatasi dall’antica Università delle Arti della Pittura di Roma: per questo motivo si decise di ricostruire l’antica chiesa di s. Martina, dedicandola anche a S.Luca. I lavori inizialmente furono affidati ad Ottaviano Mascherino, ma per carenza di fondi si provvide soltanto alla costruzione di un nuovo pavimento posto ad un livello più alto di quello antico, al fine di ottenere un ambiente sotterraneo destinato alla sepoltura degli accademici. Nel 1634 i lavori furono ripresi da Pietro da Cortona, Principe dell’Accademia egli stesso, con l’aiuto del cardinale Francesco Barberini: l’artista iniziò la ricostruzione a sue spese, dedicandosi in particolare alla cripta, nella quale collocò anche la propria cappella sepolcrale. La fortuna volle che durante gli scavi vennero rinvenuti i resti di s. Martina e di altri martiri, quali Concordio, Epifanio e Compagno. L’episodio suscitò tale commozione ed entusiasmo che papa Urbano VIII non poté esimersi dall’intervenire, anche finanziariamente, insieme al nipote cardinale protettore Francesco Barberini: il risultato fu una chiesa meravigliosa, un capolavoro architettonico, una delle testimonianze di maggior rilievo del Barocco romano. Per l’apertura di “via dell’Impero” (oggi via dei Fori Imperiali) nel 1932 la chiesa fu totalmente isolata dagli edifici che aveva a ridosso, compreso quello della sede accademica, che venne così trasferita a palazzo Carpegna. Si accede alla chiesa tramite l’articolata facciata principale, che fino alle recenti sistemazioni tardo-novecentesche costituiva il fondale di via della Consolazione. La chiesa inferiore, riccamente decorata da marmi policromi, è dedicata alla Santa martire Martina, della quale sono custodite le reliquie nell’altare maggiore: per disposizione testamentaria di Pietro da Cortona l’amministrazione della chiesa inferiore di s. Martina venne affidata, dopo la sua morte, al Conservatorio di S.Eufemia, che ne è attualmente proprietario. La chiesa superiore, invece, aperta al culto, appartiene all’Accademia di S.Luca. La facciata, leggermente convessa, considerata il vero capolavoro di Pietro da Cortona, si presenta divisa in due ordini, incorniciata fra coppie di lesene e ravvivata da eleganti coppie di colonne e di lesene minori. L’ordine inferiore presenta un bel portale sormontato da un timpano curvilineo, mentre quello superiore una finestra con timpano triangolare e simboli araldici ai lati. Su un breve timpano curvilineo sono posti due angeli che reggono lo stemma barberiniano del pontefice. Quindi su tutto si erge una poderosa cupola, realizzata nel 1664, poggiante su un tamburo circolare diviso da paraste in otto sezioni, con finestre a timpano triangolare e belle cornici, sulle quali è posta l’ape, simbolo araldico dei Barberini. La stessa scansione si ripete nella calotta, caratterizzata da una serie di timpani semicircolari, sormontati da volute. Il tutto è coronato da una lanterna (detta il “gingillo”) composta da due ordini: in quello inferiore si aprono una serie di finestrelle rettangolari inquadrate da ricche volute aggettanti, mentre in quello superiore, leggermente arretrato, si ripetono lo stesso numero di finestrelle che sono però ad arco e comprese tra due piccole paraste. Internamente è divisa in otto spicchi da nervature che si irradiano dalla base della lanterna: ogni sezione è decorata con dei lucernari che decrescono salendo. Nei pennacchi sono riprodotti i simboli dei Quattro Evangelisti: il leone di s. Marco, l’angelo di s. Matteo, il toro di s. Luca e l’aquila di s. Giovanni, tutti realizzati nel 1730. L’interno è a croce greca; scendendo nella chiesa inferiore si incontra il monumento funerario dell’architetto Giovanni Battista Soria, quindi si accede in un vano ottagonale nel quale vi è l’altare con l’immagine del Cristo morto, scolpito dall’Algardi, e le statue delle Santi.Dorotea, Sabina, Teodora e Martina. 


Curia

Il grande edificio in mattoni è la “Curia Iulia“, la sede del Senato, iniziata da Gaio Giulio Cesare per sostituire la precedente “Curia Hostilia“, incendiata nel 52 a.C., e terminata da Augusto che la inaugurò il 28 agosto del 29 a.C. L’attuale edificio, trasformato a partire dal VII secolo in una chiesa, s. Adriano, fu restaurato negli anni 1930-36. Il suo aspetto attuale corrisponde all’ultimo rifacimento dovuto a Diocleziano, realizzato dopo l’incendio di Carino (283 d.C.) che distrusse tutta la zona compresa tra il Foro di Cesare e la basilica Giulia. La Curia aderiva al portico del Foro di Cesare, del quale, significativamente, costituiva una sorta di appendice. L’edificio attuale, di pianta rettangolare, è contraffortato da quattro lunghi pilastri, a filo con le facciate, che si concludono con timpani triangolari: in quello anteriore sinistro vi era una scala che portava a livello del tetto. La facciata principale, sulla quale si distinguono, a vari livelli, tracce di loculi di tombe medioevali, era decorata nella metà inferiore da lastre marmoree e nella parte alta da un bugnato di stucco imitante il marmo. In essa si aprono tre grandi finestre ed una porta: le valve bronzee di questa sono una replica delle originali di età dioclezianea, che dal XVII  secolo ornano il portale centrale della basilica di s. Giovanni in Laterano.

 

L’interno, grandioso, lungo 27 m, largo 18 ed alto 21 (la ragione di questa altezza notevole è da riconoscere probabilmente in necessità acustiche), è ornato da un bellissimo pavimento in marmi policromi di età dioclezianea (in parte ricostruito coi marmi antichi), così come pure la decorazione architettonica delle pareti, con nicchie inquadrate da colonnine poggianti su mensole, destinate a contenere statue. L’aula è suddivisa in tre settori longitudinali: quello di destra e quello di sinistra sono occupati da tre larghi e bassi gradini in pavonazzetto e giallo antico, destinati a sorreggere i seggi dei senatori, i “patres conscripti” (circa 300). Tra le due porte che si aprono sulla parete di fondo vi è un largo basamento per la presidenza, con una base sulla quale evidentemente sorgeva la statua della Vittoria, proveniente da Taranto, e qui collocatavi da Ottaviano. Nella Curia vi sono attualmente esposti due grandi rilievi, trovati al centro del Foro e noti come Plutei di Traiano (in origine forse balaustre di una tribuna, costruita probabilmente al posto della statua equestre di Domiziano): in essi sono rappresentate scene relative al principato di Traiano. Quello di sinistra, incompleto, presenta il condono dei debiti fiscali ai cittadini, con la rappresentazione dei registri bruciati in presenza dell’imperatore; quello di destra presenta invece l’istituzione degli “alimenta”, cioè dei prestiti agricoli a basso interesse che venivano impiegati per il sostentamento dei fanciulli poveri. Le scene si svolgono nel Foro, del quale costituiscono una rara immagine antica.






Arco di Settimio Severo

Sotto le pendici del Campidoglio si innalza un arco a tre fornici, uno centrale maggiore e due laterali minori, fatto costruire, nel 203 d.C., dall’imperatore Settimio Severo, per celebrare le vittorie sui Parti. Quattro colonne di ordine corinzio inquadrano la ricca decorazione del monumento e sorreggono l’architrave su cui si innalza l’attico con l’iscrizione dedicatoria a Settimio Severo e al figlio Caracalla. Inizialmente era nominato anche l’altro figlio Geta, ma il suo nome venne cancellato dopo che venne ssassinato per volontà del fratello. Negli archivolti dell’arcata centrale sono collocate due vittorie alate con un trofeo, mentre in quelli delle arcate minori sono raffigurate divinità fluviali. Sopra le arcate minori corre un piccolo fregio in cui è rappresentato il corteo trionfale dell’imperatore con la scena del suo ingresso a Roma, mentre nei pannelli più grandi sono rappresentati i momenti principali delle campagne militari contro i Parti.