Passeggiando per Roma da Area Archeologica Argentina al Campidoglio


Quest’area si trova nel Rione Pigna.

Tra il 1926 e il 1929 i lavori di demolizione del vecchio quartiere compreso tra via del Teatro Argentina, via Florida, via S. Nicola de' Cesarini e corso Vittorio Emanuele per la costruzione di nuovi edifici, riportarono inaspettatamente alla luce uno dei più importanti complessi archeologici della città: una vasta piazza lastricata su cui sorgono quattro templi, comunemente indicati con le prime quattro lettere dell'alfabeto, poiché la loro identificazione non è ancora del tutto certa.

Tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. sull'originario piano di campagna, costituito da terra battuta e ghiaia fu costruito il tempio C. Posto su un alto podio di tufo e preceduto da una scalinata, era dedicato probabilmente alla dea Feronia. Il culto, originario della Sabina, sarebbe stato introdotto a Roma dopo la conquista di questo territorio ad opera di M. Curio Dentato nel 290 a.C.

 

Allo stesso livello del tempio C, alla metà del III secolo a.C. venne innalzato il tempio A. Di dimensioni molto più piccole del precedente, secondo alcuni studiosi è da identificare con il tempio che Q. Lutazio Catulo, console del 242 a.C., fece costruire in Campo Marzio in onore di Giuturna. Innanzi ai templi A e C furono rinvenute due piattaforme, cui si accedeva tramite quattro gradini, sulle quali erano posti due altari di peperino. L’altare davanti al tempio C è integro e reca l’iscrizione che ne ricorda il rifacimento ad opera di Aulo Postumio Albino. Di quello davanti al tempio A, del tutto simile al precedente, si conserva invece solo la cornice inferiore.

All’inizio del II secolo a.C. fu costruito il tempio D, dedicato ai Lari Permarini o, secondo altre ipotesi, alle Ninfe.

Probabilmente dopo il devastante incendio del 111 a.C., fu messo in opera il primo pavimento, realizzato in lastre di tufo e steso sopra uno spesso strato di macerie, che innalzava l’intera piazza di circa m 1,40. A questo piano è legata la costruzione del tempio B, a pianta circolare su alto podio, preceduto da una scalinata fiancheggiata da due guance di tufo dell’Aniene. La maggior parte degli studiosi lo identifica con il tempio della Fortuna huiusce diei, fondato da Q. Lutazio Catulo, collega di Mario, dopo la battaglia di Vercelli del 101 a.C., che pose fine alla guerra contro i Cimbri. La dedica a una divinità femminile sembra confermata dal grandioso acrolito (statua con testa e parti nude realizzate in marmo, mentre il resto è in bronzo o altro materiale) di cui sono stati rinvenuti la testa, un braccio e un piede, oggi conservati nel Museo della Centrale Montemartini.

ell’80 d.C. un altro furioso incendio, ricordato dallo storico Cassio Dione, devastò gran parte del Campo Marzio, compresa l’Area Sacra, che subì una ulteriore e più profonda trasformazione dovuta all’imperatore T. Flavio Domiziano. Le macerie furono nuovamente spianate e al di sopra fu costruito il pavimento in lastre di travertino, ancora visibile. Vennero ricostruiti anche il portico settentrionale e gli alzati dei templi.

 

Alcuni studiosi hanno voluto riconoscere nell’Area Sacra la Porticus Minucia Vetus, edificata dal console del 110 a.C. M. Minucio Rufo, dopo la vittoria sugli Scordisci. Tuttavia le caratteristiche del sito, privo ad esempio di portici su tutti i lati, come invece generalmente accade per le porticus antiche, rendono difficile questa identificazione.

All’inizio del V secolo l’area conservava ancora, nelle sue grandi linee, l’aspetto assunto con la ristrutturazione domizianea, ma nel corso di questo secolo deve avere avuto inizio il processo di abbandono e trasformazione degli edifici.

In particolare per la fase tardoantica - di cui vennero portati alla luce consistenti resti poi in gran parte distrutti - si può ipotizzare, sulla base della documentazione di scavo e delle strutture ancora visibili, che l’area fu occupata da un complesso monastico. Successivamente tra l’VIII e il IX secolo d.C. vennero realizzate imponenti strutture in grandi blocchi di tufo, forse case aristocratiche anch’esse molto sacrificate dalla sistemazione del 1929, che preferì riportare i quattro templi “al primitivo isolamento”, demolendo gran parte degli edifici posteriori che erano stati costruiti fra di essi.

 

Sempre al IX secolo appartengono le prime testimonianze dell’impianto di una chiesa all’interno del tempio A, che nel 1132 fu dedicata a san Nicola. Della fase di XII secolo restano l’abside, decorato con una teoria di santi, il pavimento cosmatesco e l’altare a cippo. La piccola abside, visibile sul lato sinistro della chiesa, è invece databile al XIV secolo.




Basilica di S. Andrea della Valle



Finanziati in larga parte dal cardinale Alessandro Peretti di Montalto, nipote di papa Sisto V, i lavori per la costruzione della monumentale Sant’Andrea della Valle iniziarono nel 1591 su disegno di Gian Francesco Grimaldi e di Giacomo Della Porta ma si prolungarono molto oltre nel secolo seguente. Nel 1608 Carlo Maderno, incaricato di completare l’edificio, ampliò il transetto e innalzò la cupola. Della seconda metà del Seicento è invece l’altissima e sontuosa facciata di travertino, opera di Carlo Rainaldi che riprese in parte il disegno di Maderno, accentuando però la plasticità degli elementi costruttivi e i chiaroscuri.

L’interno della chiesa è a croce latina con una vasta navata fiancheggiata da otto alte cappelle che sottolineano il ritmo verticale dell’edificio. Una di esse, la cappella Barberini, è nota anche come “Cappella della Tosca” perché qui è ambientata parte della trama dell’opera lirica di Puccini. Due ulteriori cappelle laterali si affacciano sull’abside, ricca di ori e affrescata da Mattia Preti. Alle estremità della navata, si trovano due rare testimonianze dell’antica basilica Vaticana, qui trasferite nel 1614: i monumenti funebri dei pontefici Pio II e Pio III Piccolomini, il primo risalente al 1470 circa, il secondo ai primi anni del Cinquecento.

La bellissima cupola realizzata da Maderno e inaugurata il 6 novembre 1622 è inferiore per ampiezza e altezza solo a quella di San Pietro. Di raffinata originalità sono i capitelli del lanternino della cupola, con cherubini che formano con le ali una sorta di voluta: vi lavorò il giovane Francesco Borromini, chiamato a Roma qualche anno prima dallo zio Carlo Maderno a lavorare nel cantiere di San Pietro. L’interno della cupola è decorato con i meravigliosi affreschi realizzati da Giovanni Lanfranco tra il 1621 ed il 1625, un capolavoro d’illusionismo barocco che porta il cielo dentro la chiesa. Il lavoro venne condotto in concomitanza, e probabilmente in competizione, con l’affresco dei pennacchi e del transetto absidale eseguiti dal Domenichino tra il 1621 ed il 1628.

 

All’esterno, sul fianco della chiesa, si trova la statua del cosiddetto “Abate Luigi”, una delle numerose statue parlanti della città.








Chiesa del Gesù


La Chiesa del Gesù (il suo nome completo è Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all’Argentina) è la Chiesa madre della Compagnia di Gesù;  in essa si conserva la tomba del suo Fondatore, sant’Ignazio di Loyola.

Attualmente la Chiesa fa parte del vasto patrimonio storico artistico del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, cioè l’Ente al quale vennero attribuiti i beni derivanti dall’Asse ecclesiastico dopo la soppressione delle Corporazioni religiose e delle Fabbricerie.

La sua singolare ricchezza artistica segnala la Chiesa del Gesù come un capitolo importante della storia dell’arte ed è uno dei monumenti più visitati di Roma. La monumentale facciata di Giacomo Della Porta domina dall’alto la non grande piazza. La cupola, sempre del Della Porta, ha un tamburo ottagonale.

 

L’interno, a croce latina, ha una vasta navata la cui volta è affrescata con il Trionfo del nome di Gesù, grandioso, movimentato e luminosissimo affresco eseguito con straordinario effetto di prospettiva aerea da Giovan Battista Gaulli detto il Baciccia, che ha affrescato anche la cupola con Patriarchi e dottori della Chiesa. La tribuna è affrescata, sempre dal Baciccia con Gloria del mistico Agnello. Sull’altare maggiore campeggia una pala ottocentesca raffigurante la Circoncisione, di Alessandro Capalti. Ai lati si aprono sei cappelle con opere di autori di rilievo: Cappella di sant’Andrea con il Martirio di Sant’Andrea di Ciampelli; Cappella della Passione con la Salita al Calvario e Crocefissione di Celio; Cappella degli Angeli dove la pala d’altare rappresenta Sette Archangeli in Adorazione della Santissima Trinità di Federico Zuccari; Cappella della Santissima Trinità con l’Adorazione dalla Santissima Trinità dai Santi di Francesco Bassano; Cappella della Sacra Famiglia con la pala d’altare, opera del romano Giovanni Gagliardi. Infine la Cappella di san Francesco Borgia con la bella pala dell’altare, in cui appare S. Francesco Borgia in estasi davanti all’Ostia consacrata che un angelo gli indica, di Andrea Pozzo. Nella stessa cappella ci sono vari dipinti; in particolare S. Pietro che battezza i Santi Processo e Martiniano e la Conversione di S. Paolo, tutti due del ticinese Pier Francesco Mola. Nel transetto di sinistra la Cappella di San Ignazio di Loyola (sepolto sotto l’altare), magnifica opera di Andrea Pozzo. In quello di destra il bellissimo altare di San Francesco Saverio di Pietro da Cortona. A sinistra della tribuna si trova la Cappella Madonna della strada mentre a destra si trova la piccola Cappella del Sacro Cuore.









Piazza Venezia


Vittoriano o Altare della Patria



La prima terrazza accoglie l’Altare della Patria, una grande ara votiva dedicata alla nazione italiana. Progettato dallo stesso architetto del Vittoriano, Giuseppe Sacconi, l’Altare fu eseguito dallo scultore lombardo Angelo Zanelli. Il concorso era ancora in atto al momento dell’inaugurazione del Vittoriano, il 4 giugno 1911: il modello di Zanelli, allora presentato, risultò vincitore per acclamazione del pubblico su quello dell’altro finalista, Arturo Dazzi.  Zanelli proseguì l’opera negli anni successivi, consegnandola nel 1925. L’Altare della Patria è decorato al centro dalla statua de La Dea Roma. All’interno di un’edicola con il fondo di mosaico dorato, la dea si erge con il peplo romano e la pelle di capra, un elmo e una corona con teste di lupo, una lancia nella mano destra e la statuetta di una Vittoria alata nella sinistra. Sui lati ecco due bassorilievi: entrambi concepiti come cortei, essi raffigurano Il Lavoro e L’Amore della Patria. 


Il Vittoriano

 

Il nome deriva da Vittorio Emanuele II, il primo re d'Italia. Alla sua morte, nel 1878, fu deciso di innalzare un monumento che celebrasse il Padre della Patria e con lui l'intera stagione risorgimentale.


L’Altare della Patria

 

L’edicola al centro dell’Altare della Patria con la statua della dea Roma e la Tomba del Milite Ignoto.

Bassorilievo di sinistra:

 

L'industria: dalla lunga trave, sorretta dall'homo faber, pende la pesante incudine. Una mano femminile poggia sull'incudine una corona di quercia, simbolo della forza. Il genio alato del Lavoro, poggiandosi sulla fatica umana, sta per salire vittorioso sul grande aratro trionfale. L'agricoltura: allevamento, mietitura, vendemmia e irrigazione.

Bassorilievo di destra:

Tre figure femminili offrono a Roma corone onorarie, seguite dai labari, le insegne delle legioni. Sulla biga trionfale stanno il genio vittorioso

dell'Amore di Patria e l'Eroe, appoggiato alla grande spada dei Titani. Due donne tengono in mano il suo mantello. Anche in questo ciclo troviamo  il motivo della lunga trave, dalla quale pende il braciere del fuoco sacro.

 


Le fontane dei due Mari

La fontana di sinistra, di Emilio Quadrelli, rappresenta il mare Adriatico, rivolto a Oriente, con il Leone di San Marco. A destra il Tirreno, di Pietro Canonica, con la lupa di Roma e la sirena Partenope.

I Valori degli italiani

Sei gruppi rappresentano allegorie dei valori civili del popolo italiano.

Due sono in bronzo dorato e quattro in botticino, il marmo bresciano che riveste il monumento (la forza, il diritto, la concordia, l’azione, il pensiero e il sacrificio).

Le città e le regioni d'Italia

Regioni e città sono elementi centrali del complesso.

Ognuna delle statue delle sedici Regioni italiane di fine Ottocento venne affidata ad uno scultore di quella stessa Regione.

 

Le statue delle quattordici città che furono capitali o Repubbliche marinare sono di Eugenio Maccagnani (Ferrara, Torino, Urbino, Amalfi, Napoli, Bologna, Firenze, Venezia, Genova, Palermo, Pisa, Ravenna, Mantova e Milano). 

 


Le quattro Vittorie Alate

 

Le quattro vittorie alate, come i due complessi del Pensiero e dell'Azione, erano dorate. Furono scolpite da: Nicola Cantalamessa, Adolfo Apolloni, Mario Rutelli e Arnaldo Zocchi.

Le Quadrighe

Simboleggiano l'Unità e la Libertà. Collocate nel 1927, portano il monumento  all'altezza di 81 metri dalla quota di Piazza Venezia.


Vedute di Roma dalla terrazza del Vittoriano o Altare della Patria






Santa Maria in Aracoeli

La chiesa si erge sulla sommità settentrionale del colle capitolino, dove sorgeva l’antico tempio di Giunone Moneta (cioè “ammonitrice”). Il tempio risalirebbe al 343 a.C. e fu fondato da Camillo dopo una vittoria sugli Aurunci. Qui vicino sorse, in seguito, la zecca di Roma denominata proprio “Moneta” per il fatto di essere stata costruita accanto al tempio: da qui il nome “moneta” che tuttora diamo al denaro. In cima alla scalinata fu posta una colonna con capitello corinzio e croce a ricordo del terremoto del 1703 che provocò tanto spavento ma pochi danni. Sull’origine di S. Maria in Aracoeli si sa poco ma già nell’880 si rammenta “S. Maria in Capitolio” ma addirittura la si dice fondata da Gregorio Magno nel 590. L’origine del toponimo “Aracoeli” (che significa “ara, o altare, del cielo”) è tutta nel termine latino “arx“, prima volgarizzato in “arce” e poi divenuto, per corruzione romanesca intorno al XIV secolo, “arceli”: la grafia alla latina “aracoeli” venne più tardi, probabilmente da parte di illustri letterati che ritennero che l’origine del toponimo stesse in quella leggenda che narrava come l’imperatore Augusto avesse costruito un’ara del cielo dopo avere avuto l’apparizione della Vergine con il Bambino tra le braccia ed avere udito una voce dire “Ecce ara primogeniti Dei“.




La chiesa fu costruita, in stile romanico, nella metà del XII secolo con l’ingresso rivolto verso l’Asylum, come testimonia il portale, con il bellissimo affresco della “Madonna ed il Bambino fra due Angeli”, accesso oggi ritenuto laterale e raggiungibile dalla scalinata sopra menzionata. Il nuovo orientamento fu opera dei Francescani e la nuova chiesa, in stile gotico, fu inaugurata nel 1348 insieme alla scalinata. Nel Medioevo la Chiesa divenne quasi il nuovo foro di Roma: Cola di Rienzo vi parlò al popolo; Carlo d’Angiò vi tenne parlamento con i Romani; i guelfi di Roma vi si difesero contro l’imperatore Arrigo VII; vi si tenevano anche le elezioni dei Caporioni della città. Il carattere civile e religioso finì per essere profanato durante l’occupazione francese e la Repubblica del 1797, quando la chiesa venne sconsacrata ed adibita a stalla. Si riabilitò con la fine della Roma napoleonica, ma dopo il 1870 si trovò al centro dei lavori di demolizione per la costruzione del Vittoriano e riuscì a salvarsi a stento, mentre venivano abbattuti l’antica sagrestia, il convento e la Torre di Paolo III che sorgevano alle sue spalle. La facciata, con l’ampia superficie di nudo laterizio, era ricoperta di mosaici e di affreschi, purtroppo spariti; vi erano anche tre rosoni sopra i portali, ma quello centrale, a croce gerosolimitana, fu tolto durante il pontificato di Urbano VIII (1623-44) per l’inserimento di una finestra con vetrata a colori, con tanto di api dei Barberini, come possiamo ammirare ancora oggi. Non vi è neppure l’orologio, il primo fu installato a Roma nel dicembre del 1412, ad opera del maestro Ludovico da Firenze, che ne costruì il meccanismo, e del maestro Pietro da Milano, che vi collocò la campana. La cosa era talmente importante che fu istituito uno speciale ufficio, i “moderatores horologii“, affidato ai fratelli Domenico e Fabio della Pedacchia. Originariamente era posto sulla sinistra della facciata, poi al centro ed infine fu spostato sulla facciata del Palazzo Senatorio nel 18. Fino al 1886 ne restò la mostra ma oggi c’è soltanto il buco. Le 122 colonne che dividono l’interno della chiesa in tre navate furono recuperate da vari edifici antichi: l’iscrizione, sulla terza colonna da sinistra, “a cubicolo Augustorum“, farebbe pensare che essa provenga dalla stanza da letto dell’imperatore sul Palatino, dove era la casa imperiale. Il soffitto, decorato con motivi navali, commemora la vittoria di Marcantonio Colonna nella battaglia di Lepanto del 1571 e fu realizzato sotto il papato di Gregorio XIII Boncompagni, il cui stemma di famiglia, il dragone, è visibile all’estremità dell’altare. Alla chiesa si arriva tramite una scalinata di 124 gradini (122 se si sale dal lato destro), inaugurata, secondo la leggenda, dal tribuno Cola di Rienzo nel 1348 e realizzata da Lorenzo di Simone Andreozzi a spese del popolo romano, come ringraziamento alla Vergine per aver salvato la città dalla peste: sarebbe costata 5000 fiorini.





Cappella di San Bernardino, affresco centrale (Pinturicchio, 1486)



Campidoglio

Il Campidoglio è il più piccolo fra i famosi sette colli di Roma, ma anche il più importante, perché il primo nucleo della città nacque in questo punto, racchiuso da un primitivo sistema di mura difensive a protezione degli abitanti dalle tribù ostili che abitavano i colli circostanti.

E’ uno degli spazi architettonici più interessanti di Roma. Tutto il complesso della piazza e degli edifici che la circondano fu realizzato su progetto di Michelangelo nel cinquecento. La piazza considerata una delle più eleganti d’Europa.

Al centro della piazza vi è la statua bronzea di Marco Aurelio  il cui originale è conservato nei Musei Capitolini.

Antica sede del più importante tempio del culto di Stato e simbolo di Roma “caput mundi”, il Campidoglio ha sempre mantenuto la sua rilevanza nella vita della città come centro dell’istituzione comunale dal XII secolo e con gli annessi Musei Capitolini, i più antichi del mondo.